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sabato 18 novembre 2017

Navigare il Mediterraneo – sulle rotte di Omero alla ricerca di Europa tra mito e storia (parte II)

Europa e Zeus



di Gianni Fabbri

 
storia antica e storia recente
“Spentosi il giorno e venute le tenebre
giacemmo nel sonno sul lido del mare.
E come Aurora rifulse che rosee ha le dita,
ordinai ai miei compagni di salir su le navi
e di sciogliere le funi. E salirono subito
e in fila seduti sui banchi
batterono i grigi flutti coi remi.
E di la’ navigammo lontano, lieti…”
 
(Omero, “Odissea”, Libro Nono)

“Intanto la nave massiccia, da vento
buono sospinta, sfioro’ le scogliere dell’isola
delle sacre Sirene; si fece una subita
quiete del vento e una immota bonaccia:
un dio aveva d’incanto il mare assopito.
Sorgono in piedi, ravvolgono pronti la vela
i compagni, la gettano in fondo alla nave,
si mettono ai remi, e dai lucidi remi d’abete
l’acqua del mare battuta biancheggia…
… l’agile nave non sfugge alla sacre Sirene
che intonano un canto di dolce armonia…”
 
(Omero, “Odissea”, Libro Dodicesimo)
 
“Vela ventis dare”
 
… E come Aurora rifulse che rosee ha le dita… ordina ai compagni di salir sulla nave e sciogliere le funi… “Mollare gli ormeggi!”
 
… L’agile nave non sfugge alla sacre Sirene che intonano un canto di dolce armonia… E al richiamo delle Sirene del mare… l’uomo di mare non può sottrarsi!
 
Essendo calma di vento: “una immota bonaccia”, bonaccia bianca… avvolte le vele, si procede a motore.
 
Piero, il Capitano mette la prua a Nord-Est, in rotta su Knidos, sulla costa turca, ad una manciata di miglia da Symi.
 
La “Moya” entra a Knidos, perfettamente sola.
 
Un pontile scalcagnato, un ristorante, una casermetta… fine.
 
Prima della crisi dei profughi siriani, la località era strapiena di barche, barche da diporto, barche di turisti.
 
Sulla scarpata, tra mirti, olivastri, cipressi e macchia mediterranea, le sterminate rovine di una città che fu tra le più importanti del Mediterraneo. Un mare di reperti, frutto di infinite campagne archeologiche. Ma qui gli Inglesi, come altrove i Tedeschi
 
– vedi Pergamo, sempre in Turchia -, hanno razziato il meglio…
 
Per vedere l’antica Knidos, bisogna andare al British Museum
 
– come per vedere l’antica Pergamo, bisogna andare al Pergamon Museum di Berlino -.
 
Antica città greca della Penisola anatolica, situata nella Regione della Caria, di fronte a Halikarnassos (Bodrum), fu fondata dai Dori del Peloponneso e fece parte della “Esapoli Dorica”, una confederazione di sei città greche di fondazione dorica localizzate nel Sud-Ovest dell’Asia Minore e su alcune isole del Mar Egeo Meridionale. Insieme a Knido, ne facevano parte Halikarnassos, Kos, sull’isola omonima, Lindo, Ialiso e Camiro sull’isola di Rodi.
 
“Proprio in questo breve tratto, lungo circa cinque stadi,
 
gli Cnidi, mentre Arpago sottometteva la Ionia,
– altra Regione anatolica, ndr –
cominciarono a scavare un canale con l’intenzione
di trasformare il loro paese in un’isola…”
(Erodoto, “Le Storie”)
 
Questo tentativo fu presto abbandonato, sia per le difficoltà proprie dell’opera, sia perché in questo senso furono sconsigliati dall’Oracolo di Delfi a cui gli antichi greci si rivolgevano prima di intraprendere un viaggio o una qualsiasi opera.
 
“Non fortificate l’istmo e non scavatelo.
Zeus avrebbe fatto un’isola,
se l’avesse voluto.”
 
(Erodoto, “Le Storie”)
Knidos fu retta inizialmente da una “Oligarchia” composta da sessanta membri, successivamente ebbe un governo di tipo democratico, eletto dal popolo.
Grazie alla sua posizione strategica nel Mediterraneo: posizione-ponte tra Occidente e Oriente, godette di un notevole sviluppo, incrementato dai traffici e da una considerevole attività commerciale.
Gli abitanti di Knidos, solcando il “Mare Interno”, migrarono verso Occidente, contribuendo alla formazione di quella rete di colonie che portarono alla “Megale Hellas” (Magna Grecia).
Un gruppo di suoi migranti, in particolare, fondo’ insieme a migranti di Rodi “Lipara”, oggi Lipari, nelle Isole Eolie.
Nelle acque di Knidos, nel 394 a.C., si svolse una battaglia navale nella quale la flotta ateniese distrusse quella spartana.
Durante l’epoca “Ellenistica”, Knidos fu, come Kos, sede di un importante Scuola di medicina.
All’epoca della massima espansione dell’Impero di Roma nel Mediterraneo – secondo quanto afferma Plinio il Vecchio -, fu colonia romana, facente parte della “Provincia d’Asia”, pur rimanendo città libera e godendo di una certa autonomia.
“Il Triopio e’ un promontorio sporgente del territorio di
 
Knidos, sacro a Apollo”.
 
(Tucidide, “La Guerra del Peloponneso”)
Questa è la conferma che a Knidos era vivo il culto di Apollo, a cui era stato consacrato un promontorio.
Knidos si trova infatti a Sud di Bodrum (Halikarnassos), nel punto i cui la costa turca penetra nel Mare Egeo Meridionale con un lungo promontorio.
“Ta delfinia!” (I delfini)
 
Grida l’uomo di vedetta, a prua, sul ‘bompresso’. Eccoli, a mezzo miglio sulla rotta dei mercantili tra Bodrum e l’Isola di Kos. Un branco intero in migrazione che salta, come per salutare la “Moya” che manovra per entrare nel porto di Bodrum…
“Dobbiamo entrare in Asia solo per poterne uscire. Attraccare, registrare l’arrivo alla capitaneria, ottenere l’OK per andare in città a recuperare David, Gallese e funzionario UE, rientrare, spiegare che l’equipaggio e’ cambiato, riempire le scartoffie dell’uscita definitiva dalla acque turche. Il tutto con passaggio di cancellate, controlli sbarramenti, detector. In terraferma ti bastano poche ore per farti venire la nostalgia dell’acqua, la parte libera del mondo.
 
Dopo la storia del golpe, tutto è diventato difficile. C’è meno turismo, il porto è pieno di “caicchi” senza lavoro
 
(Paolo Rumiz)
L’orologio del campanile suona dodici rintocchi quando la “Moya” entra nel porto di Bodrum. Le banchine sono tutte piene di “caicchi” all’ormeggio, fermi, per cui non resta che calare l’ancora, mettersi ‘alla fonda’ e andare a riva col ‘tender’ (gommone con fuoribordo).
 
Il “caicco” – turco kayik (barca) – e’ un’imbarcazione di origine turca, bialbero, con un lungo ‘bompresso’ a prua, per armare due o tre ‘fiocchi’. Nata come barca da pesca e/o da carico, costruita in legno, lunga, larga e spaziosa, oggi i caicchi sono barche di lusso, da crociera, con armamento a ‘ketch’ o a ‘schooner’, che fanno “charter” giornalieri e settimanali.
 
Halikarnassos (l’antico nome di Bodrum) diede i natali al celebre storico greco Erodoto (484-420 c. a.C.)
 
Nell’antichità il Mediterraneo e’ stato il centro della civilissazione, della politica e del commercio. Civilta’ millenarie si sono radicate sulle sue coste orientali e nell’Asia Minore. Egizi, Sumeri, Assiri, Babilonesi, Ittiti, Fenici, Greci, Troiani… hanno regnato e prosperato intorno e vicino a questo mare circondato da Europa, Asia e Africa.
 
Furono gli Ittiti che per primi segnarono la storia dell’Anatolia, dal 1950 al 1250 a.C.
 
A seguito della caduta dell’Impero Ittita, dei piccoli staterelli denominati “Neo Ittiti” si erano diffusi in tutta la Penisola Anatolica.
 
Quelli localizzati sulle coste del Mare Egeo Meridionale, nei secoli successivi, si erano mescolati con gli Achei e altre genti elleniche provenienti dall’Ovest, e avevano fondato stati denominati Ionia, Lydia, Caria e Lycia.
 
Anche se le correnti storiche occidentali sostengono che questi stati, localizzati tra la costa ovest dell’Anatolia e la parte di levante del Mare Egeo, siano di origine greca, la nuova scuola di pensiero e’ dell’avviso che nella Penisola Anatolica originariamente si fossero formate delle civiltà autoctone che poi, in seguito, avessero assimilato genti venute da altri paesi.
 
La “Guerra di Troia” sarebbe l’emblema della lotta per l’egemonia tra queste civilta’ diverse: Anatolici ed Elleni situati sulle due coste opposte del Mare Egeo.
 
Così, Omero, nell’Iliade, sostiene, da una parte, che gli abitanti della Caria erano un popolo di marinai di origine anatolica. Mentre Erodoto, dall’altra, ne sostiene la provenienza dalle isole del Mare Egeo, quindi di origine ellenica.
 
È un fatto che, la parte della Penisola Anatolica che si trova nell’angolo di Sud-Est del Mare Egeo sia segnata da tracce di molteplici, diverse, civilizzazioni e culture, di conseguenza si può concludere che, a più riprese, sia stata occupata da genti provenienti da diversi paesi del Mediterraneo che si localizzavano in quel punto strategico per dominare quel tratto di mare.
 
Il primo insediamento di Halikarnassos fu Zephyros
 
– dal nome del vento dell’Ovest -, che si trovava nello stesso posto dove sorse, poi, la “cittadella” di Bodrum che era un’isola.
 
Nel VI secolo a.C., i Persiani avevano occupato tutta l’Asia Minore. In questa epoca, la Caria dipendeva dal Regno di Lydia che aveva coniato moneta per la prima volta nella storia.
 
Era stato l’Imperatore Persiano Ciro ad occupare la Lydia, conquistandone la capitale. Di conseguenza, Halikarnassos e la Caria erano passati sotto la dominazione persiana.
 
I Persiani non intervenivano negli affari interni delle città che occupavano, ne’ cercavano di imporre la loro cultura, ma nominavano solamente un loro ‘governatore’.
 
Quando i Persiani cercarono di espandere il loro dominio verso la Grecia, Artemisia I, la Regina di Halikarnassos, nonché prima ammiraglia donna della storia, aveva partecipato, al fianco della flotta persiana, alla “battaglia di Salamina” (480 a.C.), al comando di una flotta che comprendeva anche navi delle isole di Kos, Nisyros e Kalydnos. Grazie ai suoi successi, era divenuta una dei più fedeli alleati del Re dei Persiani.
 
Dopo Artemisia I, la Caria fu governata da Pisindel, Lydamis e
 
Hekatommos. In seguito alla morte di quest’ultimo nel 372 a.C., suo figlio Mausolo, aveva preso il suo posto. Durante il suo regno di 24 anni, la città aveva registrato, per sviluppo economico ed urbanistico, uno dei periodo più brillanti della sua storia. Aveva spostato la capitale della Caria da Mylasa a Halikarnassos, nel 367 a.C.; per la costruzione di palazzi e monumenti della nuova capitale aveva chiamato alla sua corte i più famosi architetti e scultori dell’epoca. Aveva altresì occupato Kos, Rodi e la Lycia. Di conseguenza, la Caria era divenuta lo stato più potente della regione.
 
Dopo la sua morte, nel 353 a.C., sua sorella Artemisia II, che era anche sua sposa, prese il suo posto.
 
Come la sua antenata, regina-guerriera, dimostro’ di essere una stratega durante l’assedio di Halikarnassos da parte di Rodi. Non solo riuscì a respingere l’assedio, ma con una strategia “diversiva e aggirante”, con la sua flotta sorprese e conquisto’ Rodi.
 
Per ricordare la vittoria e la memoria del suo sposo Mausolo fece erigere da cinque famosi architetti un imponente monumento, il “Mausoleo” – dal nome del re – , considerato una delle sette meraviglie dell’antichità.
 
– Lo storico Philo, nel 25 a.C., indico’ le sette meraviglie nella lista seguente:
 
1) Mausoleo di Halikarnassos (Turchia)
 
2) Tempio di Artemide – Efeso (Turchia)
 
3) Colosso di Rodi – Isola di Rodi (Grecia)
 
4) Giardini di Babilonia (Iraq)
 
5) Statua di Zeus – Olimpia (Grecia)
 
6) Faro di Alessandria (Egitto)
 
7) Piramide di Giza (Egitto)
Il “Mausoleo” venne distrutto da un terribile terremoto nel 1304 e le pietre raccolte furono utilizzate per la costruzione e il restauro di numerosi palazzi, nonché la “Cittadella” di Bodrum.
 
Anche Alessandro Magno rientra nella storia antica di Halikarnassos. Motivato dall’obiettivo di fondare un impero globale, il grande conquistatore aveva occupato i territori dell’Asia Minore fino alla Persia. Allorquando Alessandro cinse d’assedio Halikarnassos era Satrapo (governatore per conto dei Persiani) Orontobates. Le possenti mura della città costruite sotto il regno di Mausolo avevano resistito per oltre un anno, così pure gli abitanti sotto il comando del loro Satrapo avevano difeso coraggiosamente la città. Non avendo registrato alcuna resistenza da parte delle altre città dell’Anatolia, Alessandro rimase fortemente impressionato per la difesa di Halikarnassos e propose alla principessa in esilio Ada di fare ritorno e riprendere il governo del Regno di Caria.
 
Tolto l’assedio, Alessandro risparmio’ gli abitanti e li fece imbarcare sulle loro navi per raggiungere l’Isola di Kos e stabilirvisi.
 
A seguito della morte di Alessandro, il suo impero venne spartito tra i suoi generali. Halikarnassos passo’ in un primo tempo sotto il governo dei Tolomei d’Egitto; poi fu governata da Filippo V di Macedonia e, quando questi fu sconfitto dai Romani, rimase ancora senza autorità.
 
Roma riconobbe l’indipendenza di Halikarnassos dal 129 a.C. fino al 395 d.C., vale a dire fino alla divisione dell’Impero Romano, per passare quindi sotto la giurisdizione dell’Impero di Bisanzio.
 
A partire dal 1403, i Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme – meglio noti come Cavalieri Templari, custodi del Tempio di Salomone e del Santo Sepolcro – edificarono sopra l’antica “cittadella” un possente castello, cui dettero il nome di San Pietro – dal latino Petreum, il nome di Bodrum attuale -.
 
I Templari ne migliorarono continuamente le difese, fino al 1523 quando gli Ottomani comandati dal leggendario Sultano Solimano il Magnifico conquistarono Rodi, nonostante l’eroica difesa, durata sei mesi, da parte dei “Monaci-soldati”, come furono definiti i Cavalieri Templari dallo stesso Solimano che permise loro di abbandonare Rodi in tutta libertà, dopo essersi fatto consegnare tutti i loro possedimenti nel Dodecanneso e Bodrum, che divenne un tranquillo villaggio di pescatori di spugne (!)
 
La “Cittadella” con il Castellodi San Pietro, ospitano oggigiorno un Museo di archeologia sottomarina tra i più importanti al mondo. Conserva la collezione di anfore e di reperti recuperati dalle navi affondate nella rada più ricca del Mediterraneo Orientale.
 
La “Cittadella” e’ situata su un piccola penisola che divide la baia di Bodrum in due: sulla parte Nord si trova il Porto, sulla parte Sud, una rada molto riparata con una lunga spiaggia per i turisti e che offre la possibilità a molti caicchi e barche da diporto di stare tranquillamente alla fonda, a ridosso del Castello.
 
Nella notte tra il 20 e il 21 luglio 2017, un sisma di magnitudo 6,7 con epicentro il fondo marino tra Bodrum e l’Isola di Kos ha provocato danni e feriti, in particolare l’onda di maremoto – un piccolo Tsunami – ha allagato numerose strade di Bodrum.
 
“David e’ a bordo… E si va finalmente verso Kos, con vento a dieci nodi da Sud-Ovest… Intorno a noi passano barconi pieni di turisti… Nel 2014 e’ partita la fuga dei Siriani verso Europa, ma prima di loro sono passati i Greci, espulsi dalla Turchia negli anni Venti. Accolti male anch’essi, qui o negli slum di Atene.
 
Mediterraneo: crogiolo, fascino e tragedia. Qui si migra da sempre.
 
Ma oggi c’è qualcosa di nuovo e inaudito. Ci sono i corpi degli uomini usati come moneta di scambio da governi autoritari come la Turchia. C’è la Grecia cui viene imposto un compito di polizia che detesta. C’è il Sud del Mediterraneo inghiottito dalla corruzione, il razzismo che dilaga e un’emergenza mondiale affrontata col minimalismo delle circolari amministrative, come fa l’Italia…
 
Europa? …Dov’è Europa?
 
Siamo a Kos, finalmente. Ma ecco che, quando cerchiamo di manovrare a motore, quello si inchioda. La vecchia signora fa così. Si fa desiderare. Intorno a noi un pandemonio di traghetti e barche da pesca. Riproviamo con l’avviamento: niente da fare, punto.
 
Tocca attraccare a vela, che è un dannato affare: bisogna giocare col vento giusto, prendere velocità, puntare la banchina, ammainare le vele, proseguire di inerzia e urlare a terra che qualcuno acchiappi le cime d’ormeggio. Funziona, e con “Moya” non è facile.
 
Due Greci capiscono, e ci legano al molo: Finisce a calamari fritti, tavolino su spiaggia di ciottoli e piedi scalzi sulla battigia, per celebrare il pericolo scampato, e la vicinanza dell’Islam ‘astemio’ non fa che triplicare il gusto della birra greca.
 
Non c’è idea di nazione al mondo che si possa applicare a un ‘arcipelago’. Nel tramonto, le luci dell’Asia diventano parte dello stesso golfo…”
 
(Paolo Rumiz)
“Dopo la ‘Geo-filosofia dell’Europa’ che tracciava il profilo di quella singolare figura a cui, sin dall’inno omerico ad Apollo, fu dato il nome di Europa, ora il paesaggio europeo si mostra appunto come ‘Arcipelago’, irriducibile pluralità dove i singoli elementi convivono in quanto inevitabilmente separati. E le isole dell’Arcipelago sono le ‘declinazioni’ d’Europa: in molte forme ha combattuto se’ in se stessa, ma comune e’ l’interrogazione.
 
Perciò anche il suo ‘declino’, o il suo necessario tramonto, assumerà nomi diversi…
 
L’ ‘ideale’ del gregge che non tollera alcun pastore sarà l’ultima parola del tramonto di Europa. La sua ultima ‘declinazione’?
 
Queste sono le domande che ci poniamo, e poniamo, nell’Arcipelago Europa. E la figura stessa di arcipelago invita a una possibile risposta. Se mai l’Europa custodisce ancora in se’ tale figura, e può perciò rammemorarla, allora un dio ‘ancora straniero’ può attenderla: il dio che ospita perché egli stesso straniero, il dio che esiste nell’essere-insieme perché in se stesso molteplice, il dio che incarna in se’ tutto il passato – tutte le sue vittime e i suoi ‘peccati’ – per poterlo finalmente oltrepassare…
 
E aperta rimane la questione, per noi tutti decisiva, se l’Europa saprà lasciarsi così ‘declinare’…”
 
(Massimo Cacciari, “L’Arcipelago” – Adelphi Editore)
Kos (Coo)
 
” I. Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per
 
Panacea e per tutti gli Dei e le Dee, chiamandoli a testimoni,
 
Che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo
 
giuramento e questo patto scritto.
 
II. Terrò chi mi ha insegnato quest’arte in conto di genitore
 
e dividerò con Lui i miei beni, e se avrà bisogno lo metterò a
 
parte dei miei averi in cambio del debito contratto con Lui, e
 
considererò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro quest’arte
 
se vorranno apprenderla, senza richiedere compensi ne’ patti
 
scritti.
 
III. Metterò a parte dei precetti e degli insegnamenti orali e
 
di tutto ciò che ho appreso i figli del mio maestro e i discepoli
 
che avranno sottoscritto il patto e prestato il giuramento
 
medico e nessun altro.
 
 
IX. Giuro di osservare il segreto su tutto ciò che mi è
 
confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito
 
nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato.
 
X. Possa quindi io avere successo nella vita e nella
 
professione qualora segua fedelmente questo giuramento,
 
nella stima di tutti gli uomini e per sempre, mentre mi accada
 
il contrario in caso di mia mancanza verso questo giuramento.”
Dal “Giuramento di Ippocrate”
Ippocrate, questo importante medico e filosofo, padre della medicina moderna, nacque a Kos il 27 del mese Agrianio (novembre o gennaio) del 460 a.C. dal medico asclepiade Gnosidico, che gli trasmise i primi rudimenti della medicina, e da Fenarete, discendente di Eracle.
 
Studio’ all’inizio presso l’ “Asclepeion” di Kos e dopo presso quello di Knidos in Ionia.
 
Come si evince da questa introduzione, Kos e’ universalmente nota per aver dato i natali al fondatore della medicina moderna, Ippocrate, ma anche per essere stata nell’antichità sede del culto di Asclepio (per i Greci), Esculapio (per i Romani), il Dio della Medicina che veniva onorato nell’ “Asclepeion”, il tempio di cui ancora oggi sono ben visibili le rovine, in uno dei siti archeologici più importanti del Dodecanneso.
 
Tra mito e storia le origini di Kos si perdono nella… notte dei tempi. La mitologia e la tradizione orale riportano racconti antichissimi e affascinanti sulla nascita e la denominazione dell’isola. Secondo uno di questi racconti mitologici la nascita di Kos risalirebbe alla “Gigantomachia”, la lotta fra i Giganti e gli Dei dell’Olimpo. L’antefatto, risalirebbe addirittura alle origini del mondo e dell’universo. Dall’unione di Urano (il Cielo) e Gea (la terra) sarebbero stati generati i Titani, le forze primordiali del Cosmo che imperversavano sul mondo prima dell’avvento “ordinatore” degli Dei dell’Olimpo.
 
Kronos (Crono), uno dei Titani, regolatore del Tempo, istigato dalla madre Gea, vira il padre Urano e ne prende il posto.
 
Dall’unione di Kronos e Rea, una Titanide perciò sua sorella, vengono generati Demetra, Era, Are, Poseidone e altri dei che vengono però divorati da Kronos nel timore di essere spodestato da uno di loro, secondo profezia. L’ultimo nato, Zeus (Giove), viene dalla madre Rea celato a Kronos, al quale consegna in cambio, avvolta nelle fasce, una pietra che il marito divora pensando sia il proprio figlio. Cresciuto, Zeus, sconfigge il padre Kronos, facendogli vomitare gli altri figli che aveva divorato, dando così inizio alla stirpe celeste degli Dei dell’Olimpo.
 
Zeus sconfisse prima i Titani, figli di Urano e Gea – tra i quali, Oceano, Iperione, Atlante e lo stesso Kronos -, in un guerra durata dieci anni: la “Titanomachia”.
 
Gea, la Terra, non perdona a Zeus la vittoria sui suoi figli Titani e gli scatena contro altre sue creature i Giganti.
 
Zeus, con l’aiuto degli altri dei e soprattutto del semidio Heracle (Ercole), ha ragione dei Giganti e li seppellisce sotto vari vulcani (!)
 
Uno dei Giganti, Polibote, continua a resistere e si rifugia a Kos.
 
Lo insegue il dio Poseidone (Nettuno) che, nel tentativo di colpirlo con il suo tridente, taglia di netto una parte dell’isola che va così a formare la vicina Isola di Nyssiros -un’isola vulcanica, per l’appunto-
 
Al mito dei Titani viene quindi ricollegato il nome di Kos: dal Titano Konnis, oppure il primo nome dell’isola “Koia”, dal Titano Koio.
 
Il mito continua collegando la colonizzazione dell’isola agli Eraclidi. Viene riportato che Heracle con i suoi compagni fa naufragio sull’isola di Kos, trovandovi rifugio. Sempre sull’isola, dopo una guerra vittoriosa, si unisce a Calchiope, figlia del comandante nemico, dalla quale ha il figlio Tessalo – che darà origine alla regione greca della Tessaglia – e le figlie Kalymnos e
 
Leros – due isole poco distanti da Kos, facenti parte del Dodecanneso –
 
Questo filo conduttore, mitologico, conferma altresì gli stretti contatti ‘storici’ che uniscono l’isola di Kos, e le isole vicine, alla Tessaglia, nonché la storicità della posteriore colonizzazione dell’isola da parte dei Dori provenienti da Epidauro in
 
Argolide, ma che originariamente provenivano dalla Tessaglia.
 
L’insediamento neolitico di Kos testimonia che l’isola era abitata già nel quarto millennio avanti Cristo.
 
I primi abitanti erano ‘Protoellenici’, come dimostrano i reperti rinvenuti nel sito archeologico di Astypalaia.
 
A questi primi abitanti seguirono i Carii, o Carei, della vicina Caria (Halikarnassos), come dimostrano i numerosi reperti trovati in tutta l’isola. Poi i Fenici, come dimostrano le sepolture rinvenute nella sua parte orientale. Mentre intorno al 1600 a.C. un gruppo di Minoici Cretesi – la Civiltà Minoica fiori’ sull’isola di Creta nell’età del bronzo, dal 2000 a.C. al 1450 a.C.- si stabilì nell’isola vicino al porto. Questi la occuparono fino al XV secolo a.C.
 
Più tardi, in seguito alla distruzione della ‘Civilta Minoica’ col maremoto provocato dall’esplosione del vulcano di Santorini, l’isola di Kos viene invasa dai Micenei del Peloponneso che vi si stabiliscono per oltre tre secoli, influenzandone la cultura, come dimostrano i molti resti archeologici di questo periodo.
 
Il poeta Omero scrive nell’Illiade dell’alleanza di Kos con le isole vicine in occasione della “Guerra di Troia”, dove vengono mandate trenta navi al comando di Fidippo e di Antifo, figli dell’Eraclide Tessalo. Al ritorno le navi fanno naufragio, ma il figlio di Asclepio, con i suoi compagni, ripara sull’isola e fonda a Kos il culto di “Asclepio Terapeuta”
 
Intorno al 700 a.C., i Dori, provenienti da Epidauro, fondano a Kos delle loro colonie e l’isola conosce un periodo di prosperità sviluppando agricoltura, commerci, artigianato e nautica.
 
È il periodo della costituzione della “Exapolis Dorica”: la coalizione politico-religiosa tra sei isole e città limitrofe che avevano come centro di culto il Tempio di Apollo Triopio, sul promontorio di Knidos.
 
Nell’isola si scriveva in caratteri dorici, si parlava dorico, di origine dorica erano anche le pratiche religiose e, di conseguenza, dorico era anche l’ordine architettonico degli edifici e dei templi.
 
Il capoluogo più antico si chiamava Astypalia e il sito si trova nella zona costiera di “Palatia” vicino al paese di Kefalos.
 
I Persiani occuparono Kos durante la guerra con la Grecia e, a liberazione avvenuta, l’isola si unì alla “Lega Ateniese”. Era il V sec. a.C. Nel IV secolo a.C. comincio’ la costruzione dell’abitato di Kos che divenne centro amministrativo dell’isola fino al VI secolo d.C. quando fu rasa al suolo da un forte terremoto.
 
Va detto che l’isola si trova in una zona sismica essendo stata nuovamente distrutta dal terremoto del 1933 e lesionata in quello del luglio 2017.
 
Nel 460 a.C. vi nacque il grande Ippocrate, come già scritto, fondatore della medicina moderna. Luogo congeniale, dato che proprio in questa isola venne edificato un tempio, l’Asclepeion, dedicato al culto di “Asclepio Terapeuta”, il dio della medicina, dove gli “Asclepiadi” (medici) erano iniziati all’arte medica e dove Ippocrate fondo’ la prima scuola medica.
 
L’Asclepeion – i cui resti sono tutt’ora visibili in uno dei siti archeologici più importanti dell’isola – e’ costruito su tre livelli e sorgeva nel cuore di un bosco sacro, secondo Pausania. Una scala di 24 scalini conduce ai “Propilei” – colonnato che costituisce l’ingresso al tempio -, che si trovano già al primo livello, circondato per tre lati da un porticato che disponeva sul retro di camere e sale d’aspetto per i pazienti provenienti da tutta la Grecia e Asia Minore. Al secondo livello si arriva per mezzo di una scalinata di 30 gradini. Al centro di questo livello sorgeva l’altare di Apollo Kyparissios, di cui rimangono i ruderi. Si possono vedere qui due ‘colonne ioniche’ restaurate del Tempio di Asclepio del III secolo a.C. con l’altare. Il rudere più maestoso e’ quello del Tempio di Apollo, a pianta rettangolare di stile ‘corinzio’ risalente al II secolo a.C., del quale sono state restaurate sette colonne.
 
Una terza scalinata di 60 gradini conduce al terzo livello, dominato dal Tempio maestoso di Asclepio, databile II secolo a.C., di stile ‘dorico’ a pianta rettangolare, tempio che contava ben 104 colonne.
 
– Una curiosità: durante l’estate, ogni domenica, all’Asclepeion si ripete la cerimonia del “Giuramento di Ippocrate” –
 
Nell’anno 336 a.C. Kos fu occupata da Alessandro Magno e poco dopo dai Tolomei. L’isola contava all’epoca circa 150.000 abitanti.
 
La nautica, i commerci, la ceramica, l’artigianato, le arti e le lettere conobbero in questo periodo un eccezionale sviluppo.
 
I Romani la occuparono durante la massima espansione dell’Impero, sotto Traiano, nel II secolo d.C., ma non se ne interessarono in modo particolare e l’isola registro’ un periodo di lunga decadenza.
 
Con l’arrivo dell’Impero d’Oriente, di Bisanzio/Costantinopoli, Kos conobbe un nuovo splendore; però in parte compromesso da continui attacchi di pirati barbareschi e saraceni che infestavano il Mediterraneo Orientale.
 
Nel 1305 c., arrivarono sull’isola, provenienti da Rodi i Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni al seguito del Gran Maestro Foulques de Villaret. Consolidarono le costruzioni della città, in prossimità del porto, sul luogo dell’antico Agora’ e della fortezza che, oggi domina l ‘entrata del porto. Munirono l’isola di poderose fortificazioni, riorganizzarono l’esercito e la flotta. Governarono l’isola secondo le regole dell’ordine per 218 anni.
 
I Cavalieri resistettero a continui attacchi dei Turchi, ma, nel 1523, il Sultano Solimano il Magnifico, nonostante l’eroica resistenza degli abitanti, conquisto’ dopo Rodi anche Kos e le altre isole del Dodecanneso, che rimasero sotto il dominio degli Ottomani fino al 1912.
 
Era il maggio del 1912 quando le truppe italiane sbarcarono sulle isole del Dodecanneso per “liberarle” dai Turchi. Gli abitanti salutarono gli Italiani con entusiasmo, stabilendo rapporti amichevoli. Poi, ci fu l’avvento del fascismo e il clima politico cambio’. Il Dodecanneso faceva parte dell’ “Impero” fantasticato da Benito Mussolini e veniva governato come una vera e propria colonia.
 
Nel 1933, un tremendo terremoto distrusse gran parte del centro abitato di Kos. La ricostruzione fu opera degli Italiani, secondo lo ‘stile razionalista’ imperante in Italia negli anni Venti e Trenta, di cui sono tutt’ora visibili importanti testimonianze.
 
Sempre gli Italiani intrapresero scavi archeologici, riportando alla luce l’Asclepeion, l’antico Agora’ col Decumano e il Cardo massimo, l’Odeo Romano, l’Ellenistico Gymnasium, l’Altare di Dioniso, il Tempio di Artemide Pandimos, una importante Domus Romana risalente al III secolo d.C., nota come residenza del”Ratto d’Europa”
 
uno splendido mosaico riproducente, per l’appunto, il ratto d’Europa da parte di Zeus. La Domus dispone anche di un magnifico Ninfeo, di affreschi e di altri mosaici. Altro splendido mosaico, raffigurante l’arrivo di Asclepio nell’isola accolto da un abitante e da Ippocrate seduto su una roccia, e’ conservato nel Museo Archeologico – merita di essere visitato! – che ha sede in uno de palazzi di ‘stile razionalista’ eretto ai tempi dell’amministrazione italiana.
 
L’Italia governo’ ufficialmente l’isola fino all’8 settembre 1943, quando i Tedeschi si impadronirono dell’isola, seminando il terrore tra gli abitanti, e perpetrarono la “strage di Kos” – ottobre 1943 – con l’uccisione di 100 soldati italiani che si erano arresi.
 
Nel 1945, alla fine della guerra, l’isola fu conquistata dagli Inglesi che la tennero, sotto amministrazione militare, fino al 1948, quando a seguito del Trattato di Parigi, venne unificata con le altre isole del Dodecanneso alla Grecia.
“L’indomani Piero ci svela la meraviglia dell’Asclepeion, il famoso tempio della medicina un po’ fuori paese, ben restaurato dagli Italiani durante la dominazione. Sulla strada, un cimitero ebraico semi-abbandonato, e uno turco, profumato di piante di fico.
 
Facce da Sicilia di una volta. Veranda con la scritta “cucina greca e turca”, filari di cipressi, buganvillee. Dal tempio, gran vista sulla costa turca e Halikarnassos/Bodrum…
 
La “Kantina” diventa la nostra dependance. Gelati, ouzo, caffè freddo, olive, birra e vino resinato. È esattamente questo che mi aspettavo dalla Grecia. Un’ospitalità fatta di niente, lontano dai ghetti per turisti… Ordiniamo una grigliata per la cena, Vassili, l’oste pescatore, si illumina. ‘Lei si’ che mi fa guadagnare… Oggi vengono i turisti del tutto compreso. Quelli non spendono nulla’.
 
E l’Europa? ‘Con l’Europa si sta peggio. Mi ha fatto dimagrire trenta chili… E i miei figli sono dovuti emigrare’.”
 
(Paolo Rumiz)
 
Via di nuovo, si mollano gli ormeggi e il motore torna a cantare.
 
Lasciando il porto di Kos, si possono prendere due direzioni:
 
Verso Levante, facendo rotta su Nissyros, l’isola vulcanica.
 
Verso Ponente, rotta su Kalymnos, sfiorando le isolette di Pserimos e di Plati.
 
Nissyros dista solo otto miglia, a causa della sua origine vulcanica, vi si trovano sorgenti di acque termali calde e piccoli giacimenti di pietra pomice. Il terreno e’ fertile e la flora particolarmente lussureggiante.
 
Il cratere, attualmente inattivo, presenta al visitatore alcune fumarole sulfuree e costituisce il vero polo di attrazione dell’isola.
 
Ogni giorno centinaia di turisti vengono “vomitati” dai caicchi e dalle motonavi sulle banchine del porto dove in attesa vi sono una decina di pullman che li caricano per portarli su’, in alto, e scaricarli direttamente… dentro la ‘caldera’ del… dio vulcano.
 
Una manciata di lava sulle acque dell’Egeo, battuta dalla salsedine delle onde, ha modellato questa isoletta selvaggia: “Nyssiros… della lava e delle onde”
 
La natura scopre qui il suo volto aspro e selvaggio e perciò affascinante.
 
È il “tridente” di Poseidone lanciato verso il Gigante Polibote a dare origine, secondo il mito, all’isola. Origine che la lega a Kos: un legame di natura sociale – insediamento di abitanti dall’isola maggiore -, culturale, economica e politica – centro amministrativo e politico comune, alleanze, ecc. -.
 
Nyssiros, come testimoniano i numerosi reperti archeologici, fu abitata fin dal neolitico. Omero riporta che partecipo’ alla guerra di Troia. Con ogni probabilità, come le altre isole del Dodecanneso, fu colonizzata dai Dori e segui’ le sorti delle “consorelle”.
 
“Una colata bianca di calce” e’ l’immagine a tinte forti che accoglie il navigante. Il contrasto tra il bianco delle case, l’ocra aranciato del terreno e l’azzurro intenso del mare conferisce al paesaggio, tipicamente mediterraneo, un’intensità e una bellezza che solo la tela di un grande pittore può cogliere…
 
Mandraki, Palaiokastro, Loutra’, Paloi, Emporeio: sono i nomi di altrettante… pennellate sulle strade e i sentieri che percorrono l’isola.
 
Dopo la visita al cratere, il pullman sale ancora e porta il turista al grazioso villaggio di Nikia’, disabitato o quasi perché costruito dagli emigranti che sognano di concludere li’ la loro esistenza…
 
Nella piazzetta lastricata, ci si può sedere sotto il porticato della piccola taverna, gustarsi uno ‘tzatziki’, bagnato da un calice di vino resinato, e gustare uno dei migliori panorami dell’Egeo Meridionale.
 
In rotta su Kalymnos, 270 gradi Ovest… Il ‘Meltemi’, il temuto Meltemi, il vento dominante che spazza l’Egeo ogni estate, soffia sui 20-25 nodi, con raffiche da 30 nodi.
 
– Il Meltemi trae origine dall’incontro/scontro tra l’alta pressione estiva del Mediterraneo Occidentale e la bassa pressione tipica del Mediterraneo Orientale, incentrata sul Mar Nero. Soffia con direzione Nord-NordOvest. Il mito, lo fa originare dell’assassinio di Icario che ebbe in dono da Apollo un ceppo di vite e l’arte di fare il vino. Gli dei immortalarono Icario trasformandolo in una Costellazione. I pastori dell’Attica che avevano assassinato Icario perché li aveva ubriacati (loro ritenevano di essere stati avvelenati), cercarono rifugio nell’isola di Ceo, dove si sviluppò un’aspra canicola e relativa siccità. Gli isolani, allo stremo, interpellarono l’Oracolo di Apollo che, per allontanare l’emergenza siccità (!), suggerì loro di punire gli assassini di Icario. Giustiziati che furono i rei, inizio’ a soffiare il Meltemi… fresco e rigeneratore(!) –
 
Si alzano onde maestose e irregolari – “mer incrused” (mare incrociato), si dice in Adriatico -, la “Moya” sta facendo una andatura di “bolina larga”… e se la cava bene, il bompresso si immerge dentro l’onda fino alla radice per poi impennarsi verso il cielo.
 
Dopo circa mezz’ora di navigazione, si sfiora il promontorio Nord di Pserimos dove sventola una gigantesca bandiera greca che se segnala la presenza di una base radar della Marina.
 
L’isoletta, che appartiene alla municipalità di Kalymnos, conta numerose spiagge isolate, attrazione dei numerosi turisti in escursione giornaliera.
 
Poco più di uno scoglio, Plati e’ una meta d’obbligo perché nella sua rada ridossata al Meltemi l’acqua color turchese invita al bagno;
 
per cui, non c’è barca in transito che non getti l’ancora nel fondale sabbioso per dar corso al rito di… “sapore di sale” (!)
 
“Cumulonembi a forma di incudine segnalano temporali sopra la costa turca, mentre l’aguzza Kalymnos ci prepara un ormeggio controvento in una gola solitaria, protetta da Sant’Irene e Santa Anastasis. Entriamo guardinghi in un mondo di rocce verticali e capre che pare base di pirati o forse navata di chiesa. In fondo, ecco la Grecia che sogni: mare trasparente, un molo, una decina di pescherecci, un chiosco con le spugne, un bar, una taverna.
 
E Giannis, il cameriere laureato, che ci serve da bere…
 
‘Facevo il bancario – racconta in perfetto inglese – ma da quando c’è la crisi cambio lavoro ogni sei mesi per campare. In banca mi davano 400 € al mese… Così ho fatto il pescatore e il cameriere’.
 
La notte è così priva di umidità che dormo in coperta col capitano.
 
Stuoia sul legno e stelle come coperta. Ne vale la pena, solo per assistere all’alba. Un’alba perfetta, che non irrompe, ma lievita dall’Anatolia come nube d’incenso, come un dolce di pandispagna nel forno, mentre la gola rocciosa svela absidi e nicchie segrete in ogni dove, quasi una chiesa bizantina rilucente di ori.
 
L’ora genera spontaneamente versi: ‘Sembro’ che tutti i galli delle Cicladi si fossero svegliati in simultanea’. L’isola intera strepita di
 
chicchirichì.
 
Partiamo di buon ora. Con l’uscita del sole, sul lato di terraferma le ombre sono inghiottite come inchiostro da gole e anfratti, mentre in mare i gialli e gli azzurri costruiscono, vibrando, innumerevoli combinazioni puntiformi come in un quadro di Klimt.
 
Cerchiamo il Nord, finché l’Egeo si appiattisce e diventa oro fuso sulla frontiera tra Asia e Europa. E il bompresso va come un monaco, mormorando litanie.”
 
(Paolo Rumiz)
La “Moya” lascia Kalymnos – dal mito e dalla storia non dissimili dalle altre “sorelle” del Dodecanneso, oggi famosa per i pescatori di spugne – di poppa… E il suo profilo sfuma tra l’azzurro e il biancore del regno di Poseidone. Mentre sulla prua a distanza, si delinea già il profilo dell’isola successiva…
 
Leros
 
Famosa nell’antichità per il culto della Dea Artemide, fu fondata dai migranti di Mileto – il Mediterraneo e’ antica storia di migrazioni –
 
che sullo sperone di roccia che domina il porto vi costruirono l’acropoli, che poi divenne “Kastro” e, in epoca bizantina, monastero. Oggi, Leros, fa parte dell’amministrazione periferica di Kalymnos.
 
In porto, il comandante, chiede di ormeggiare “Moya” ‘all’inglese’ sul fianco di un peschereccio appena rientrato dalla pesca, con in coperta, alcune cassette di pesce fresco… E, in agguato, il grossista che ‘more solito’ tira sul prezzo…
 
La salita sulla rocca, dove l’antico castello e’ oggi sede di un museo, merita non foss’altro per lo spettacolo straordinario del l’immensa vista sull’Acipelago.
 
“Uno scoglio senza pace, baluardo fra mondi, conteso da egizi, turchi, veneziani, francesi, saraceni – dice Ghiorghios, il custode del Museo – … L’Europa e’ un’idea della mente. Crogiolo, approdo, rifugio di espatriati, spazio di incontro. Era Smirne, Alessandria, Beirut, Costantinopoli, Algeri: non certo Atene. Ma il nazionalismo del Novecento ha distrutto tutto. Oggi fra Europa e Turchia c’è meno dialogo di quanto non ci fosse ai tempi di Lepanto.
 
Abbiamo rinnegato quell’Europa, nata dal dialogo con l’Asia, negli avamposti, nelle periferie, sulle linee di faglia…”
 
Sempre più a Nord, col Meltemi che spazza la prua e costringe a tenere un’andatura di ‘bolina stretta’.
 
Patmos
 
È un vulcano dove praticamente si attracca nel cratere. La montagna di fuoco e’ spenta, ma l’aria puzza ugualmente di bruciato: un lato dell’isola, quello sopravento, ha preso fuoco. Forse è doloso, ma l’arsura e il lungo periodo di siccità hanno contribuito non poco a peggiorare la situazione. Poi, ci si mette anche il Meltemi che alimenta vieppiù le fiamme e le fa spandere in tutte le direzioni. Pare che, quest’estate, bruci mezza Grecia.
 
La “Moya” che, alla ricerca di Europa ha sfiorato l’Asia, l’Oriente, ha odorato il profumo del Mediterraneo, si trova ora immobile, sotto un cielo soffocante, e’ come davanti all’ordalia del fuoco. Come se, per ritrovare Europa, dovesse attraversare un mare di fuoco.
 
Patmos e’ una delle isole più settentrionali del Dodecanneso.
 
È famosa perché un’antichissima tradizione cristiana tramanda che l’Apostolo Giovanni fu qui esiliato dall’Imperatore Domiziano dal 95 al 100 d.C. Durante l’esilio scrisse “Il Libro delle Rivelazioni”.
 
Il centro storico di Chora – abitato principale dell’isola – con il Monastero di San Giovanni e la grotta dell’ “Apocalisse” sono state dichiarate dall’UNESCO “Patrimonio dell’umanità”.
Rotta per Mykonos, la famosa isola delle Cicladi, nel Mar Egeo Centro-Orientale, costeggiando a motore l’interminabile Ikaria
 
– altra isola, che deve il suo nome al celebre mito di Icaro che secondo la leggenda precipito’ in mare di fronte all’isola, dove fu seppellito dal padre Dedalo, quello del labirinto -.
 
Foschia, niente vento, ma il cielo si popola di sottili nubi grigie, cumuli, foriere di maltempo.
 
Ecco, infatti alzarsi il Meltemi. Il temuto Meltemi.
 
Fa freddo, piove, l’equipaggio ha indossato le cerate e Mykonos non arriva mai. Il mare e’ disperatamente vuoto… deserto!
 
Data la vetusta’ della signora “Moya”, la navigazione e’ improntata a criteri antichi: senza GPS, senza radar… si naviga ‘a vista’, confidando solamente nella bussola per tenere la giusta rotta.
“Mio nonno Domenico che a otto anni si imbarcò da solo – ripeto da solo – per l’Argentina. E allora penso ai 22 milioni di migranti che l’Italia ha fatto espatriare per fame dal 1880 al 1930, questa Italia senza memoria e senza religione dove oggi e’di moda sputare odio verso gli esuli di guerra e della miseria, anche se sono solo decine di migliaia. Sottocoperta, lo scafo di “Moya” e’ come se registrasse
 
le voci perdute di tutti gli espatriati del Mediterraneo.
 
Sento grida, lamenti, pianti, persi nel profondo. Eppure è proprio lì nel mezzo del mare, scuro e profondo, che comincio a sentire il canto di Europa. Il tuono, il mormorio, il vento, la litania, il rimbombo il brusio: è questo che fa unico il tuo viaggio. Anche il silenzio, quando la notte dilata i sensi e indica sentieri dimenticati, coperti dalla polvere del tempo…
 
E allora ti accorgi che Europa e’ sinfonia, pentagramma…
 
Il fruscio degli uliveti sotto la Luna in Sardegna. Il canto del Reno che spumeggia nel cuore delle Alpi svizzere. La bora che fa cantare le scotte delle vele nel mare di casa mia e accende voglia di frontiere. Il tuono dell’Atlantico sotto i faraglioni di Cornovaglia. I violini tzigani sulle rive del Danubio. Europa e’ il rintocco della campana di San Marco a Venezia che chiama i minareti di Costantinopoli, perché il Bosforo che altro è se non la continuazione del Canal Grande… È il ventaglio di luce che, all’alba, in un monastero serbo, disegna pentagrammi nell’incenso attorno al fiato dei cantori, il canto rauco di un gallo tra i resti di un tempio nel Peloponneso, con una luna di pergamena che si inabissa nello Ionio
 
Europa, oggi chi canta più la tua leggenda?
 
Perché voi politici la raccontate solo come moneta, burocrazia, vacca da mungere? Perché non dite che è cosa viva di fiumi, mari e montagne… che è la sponda dove tutto finisce, il giardino delle Esperidi?
 
– nella mitologia greca, Ninfe, figlie della Notte e di Erebo, oppure di Zeus (Giove). Secondo le leggende custodivano il giardino dei pomi d’oro di Hera (Giunone moglie di Giove), ndr –
 
Europa, sei il coro delle pellegrine russe nella cripta di San Nicola di Bari, sei il vento che strattona le vele di chi passa Gibilterra, il mormorio del Tago che sfocia in un estuario di luce nell’Oceano mare, sotto lo sguardo vigile dell’Infante Dom Henrique, alla fine della Terra del tramonto, e ci dice il senso più antico del tuo nome.”
 
(Paolo Rumiz)
Mykonos
 
Ci avvisa del nostro arrivo col rombo delle discoteche. Colonna sonora dei “Rave party” dei Greci ricchi con motoscafi d’altura e dei turisti europei alla ricerca dello “sballo”… E la mitica Europa?
 
È stordita dalla musica tecno e dalle urla dei disc-jockey.
 
Il comandante suggerisce di ritagliarsi una… fetta di silenzio restando ‘alla fonda’. Da’ l’ordine di gettare l’ancora in trenta metri d’acqua nella rada. Chi vuole scendere a terra deve ‘varare’ il ‘tender’, il gommone.
 
A poche miglia da noi, l’ombra di Delos, isola che è praticamente un museo archeologico a cielo aperto. Isola dove Latona, madre di Apollo, scelse di partorire in pace, isolata come un gabbiano o un uccello… E avrebbe ragione anche oggi di allontanarsi da questa Mykonos assediata dai turisti (!)
 
Davanti al paese, in rada, tre mega navi da crociera, che hanno “vomitato” sull’isola migliaia di “pellegrini moderni” diretti ai…
 
Templi di Apollo, i templi della musica.
 
“Elles sont maudites, maledette per come sono costruite e per il niente che danno ai luoghi”, ci grida un Bretone ormeggiato accanto a noi. “Quels sont le vrais barbares? Quelli che scendono dalle grandi navi o i migranti che sbarcano dai gommoni?”, sempre il Bretone, infastidito dal frastuono.
 
Se “Paris vaut bien une messe”, Mykonos vale solo una visita rapida per ammirare i suoi mulini a vento, simboli di un antico splendore. Per “perdersi” nelle viuzze e nelle taverne della sua “Piccola Venezia”. Per ammirare la “Chiesa di Panagia” e le case bianche di calce. Per trovare memoria della leggenda che la volle sede della mitica battaglia tra Zeus e i Titani.
 
Prima di lasciare Mykonos, si imbarca il greco Spiros, un buon marinaio, viaggiatore incallito, poliglotta. Sembra portare con se’ i cuori di mezza Europa e, probabilmente, di molte europee: la bella presenza, la facilità con le lingue, fanno di lui un emulo di Casanova. Affabile, di carattere allegro, sorride anche quando parla del dramma del suo Paese.
 
“Ci hanno messo nelle condizioni di non poter pagare mai: 400 miliardi da restituire sono una cifra irreale… E i Greci non si sveglieranno… Non c’è più nessuna manifestazione. La Grecia e’ diventata una colonia – della Germania -. Ed è un peccato, perché Varoufakis era un uomo onesto, non in combutta con le banche.”
 
Si salpa l’ancora e rotta su Syros, con andatura ‘al traverso’ e le bandiere britannica, greca ed europea che garriscono al vento.
 
Dopo la “Brexit”, e’ un po’ una contraddizione issare la “Union Jack” e la bandiera della UE una a fianco all’altra. Ma tant’è…
 
Europa… dov’è Europa?
 
Syros
 
È la capitale “nobile” delle Cicladi: cattolica per vocazione, internazionale per il turismo, al centro dell’Egeo ortodosso.
 
I palazzi neoclassici trasudano ricchezza accumulata in secoli di commercio e artigianato.
 
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, fece parte dell’Impero Bizantino fino al 1204, quando fu conquistata dalla Serenissima Repubblica di San Marco. Nel 1537, entro’ a far parte dell’Impero Ottomano retto da Solimano il Magnifico, che risparmio’ e tollero’ i cattolici.
 
In una taverna del quartiere “Vapouria” si fa l’incontro con Nikos, un maestro d’ascia che dopo vent’anni a costruire barche a Vancouver e’ tornato in patria navigando dal Canada a bordo della sua “Iliopotissa”, uno ‘schooner’ da lui costruito su disegno di un importante progettista americano.
 
Riecco Europa. In Città un Teatro dell’opera che riporta sul frontale d’ingresso le immagini di Mozart, Rossini, Verdi e Wagner.
 
Verso la meta ultima. Il nostro viaggio, il viaggio di Paolo Rumiz & Co. alla ricerca del mito di Europa… dell’Europa antica, dell’Europa moderna (!), sta per concludersi a
 
Egina
 
“Moya” dopo essere passata a Nord dell’ isola di Kea, costeggia per breve tratto la parte orientale dell’Attica, la Penisola che si protende nel Mare Egeo, e doppia Capo Sounion. Sul promontorio, il Tempio di Poseidone… monta la guardia sull’intero Peloponneso.
 
Doppiato il Capo, la rotta per Egina passa al largo del Pireo, e si procede con cautela per evitare la ‘rotta di collisione’ con le numerose navi che si dirigono nel porto di Atene.
 
A dritta, si lascia l’isola di Salamina, nel Golfo Saronico, le cui acque furono teatro della storica “Battaglia di Salamina” (306 a.C.), dove la flotta greca, nonostante lo svantaggio numerico, ebbe la meglio sulla flotta persiana di Serse, sbarrando così la porta d’ingresso di Europa ai persiani d’Asia.
 
Si scende, quindi, verso Egina, sfruttando il vento in poppa.
 
Situata nel Golfo Saronico, deve il suo nome alla ninfa Egina, nata sull’isola, con cui Zeus si accoppio’ trasformandosi in aquila e portando con se’ la ninfa sull’isola di Enopia. Dall’unione nacque Earco che scateno’ l’ira di Hera sull’isola di cui Egina era la regina.
 
Ne segui’ una grave carestia, e solo quando Earco succedette alla madre nel governo , l’isola ritrovo’ la pace.
 
“Moya” e’ all’ormeggio. È stata affidata all’amico Nektarios Kontovrakis, pittore e scultore, che vive sull’isola e ne prenderà cura per i mesi a venire.
 
Il viaggio è finito, come conclusa e’ la navigazione nel Mediterraneo alla Ricerca di Europa, tra mito e storia…
 
Ma Europa?
 
“Europa diventava sempre più bella, e Zeus se ne innamoro’… Il bel toro bianco nuoto’ è la porto’ lontano, verso Occidente, a Creta… Poi Zeus dovette tornare sull’Olimpo a fare i conti con la gelosia di Era…”
E oggi?
 
“Il futuro sarà dominato dagli imperi – Cina, Russia, USA -, che stanno organizzando la globalizzazione. Staterelli e micro-regioni chiuse saranno fatti fuori, schiacciati nella morsa di nazionalismi e secessionismi. Solo un patto politico reale per costruire gli Stati Uniti d’Europa, fondati su Stati federali o maxi-regioni, può evitare che il cuore dell’Occidente si fermi.
 
Temo che oggi non ci siano ancora le condizioni”.
 
(Massimo Cacciari, da “La Repubblica” di Domenica 22/X/2017)
 
“La compiuta spoliticizzazione dell’economia si è oggi realizzata nella Unione Europea, il pudico nome con cui viene chiamato il ‘lager’ eurocratico in cui regna sovrano il capitale. L’Europa e’ oggi unita esclusivamente sulle basi della Banca Centrale Europea e della conseguente eurocrazia, in cui si realizza tramite la violenza silenziosa dell’economia l’oppressione dei popoli…
 
Imponendo agli Stati svuotati di sovranità le quarantott’ore di tempo, come nei classici ‘ultimatum’ politici, per adottare adeguate misure di crescita…
 
In una ‘Guernica’ di tipo sociale, ai Greci, agli Italiani, agli Spagnoli, ai Portoghesi si impone l’appoggio incondizionato delle politiche europee (e dei conseguenti sacrifici) anche quando esse costringono a licenziare senza regole i cittadini e a privarli di ogni garanzia, con palese ricorso alla coercizione e al raggiro (sia pure tramite la mediazione ingannatrice del suffragio universale).”
 
(Diego Fusaro, “Europa e Capitalismo – Per riaprire il Futuro”)
 
“… E questa Europa che blocca il flusso dei corpi, soprattutto per motivi legati a opportunismo elettorale, e che invece accoglie i flussi di denaro, i capitali anche di provenienza criminale e’ un Europa tutt’altro che solidale, e’ un Europa che alle persone preferisce il denaro. Ma non è solo questione di solidarietà : l’Europa ha sacrificato il rispetto dei diritti umani sull’altare di spinte locali che rincorrono percorsi politici personali. Quindi ancora una volta le istanze di una parte che hanno effetti sul tutto. Da qui l’importanza di parlare da meridionalista di Europa… da uomo di Mediterraneo”.
 
(Roberto Saviano, dall’ “Espresso” del 5/11/2017)
 
G.