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venerdì 1 settembre 2017

I CURDI: una Nazione, un Popolo senza Stato

lifegate.it
di Gianni Fabbri
Il numero 7 della Rivista mensile di geopolitica “LIMES” e’ quasi interamente dedicato al “Mito Curdo” “I Curdi: non una Nazione, ma molte fazioni usate e abbandonate dalle Potenze. Il Grande Kurdistan può attendere”
Poco o niente si sa del Popolo Curdo e del Kurdistan.

Quel poco che ci viene in memoria e’ legato alle vicende degli anni Novanta del Secolo scorso, che interessarono il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), di matrice comunista, e del suo leader Ocalan.

PKK che portava avanti una guerriglia contro il regime di Istambul, con il sostegno politico e logistico da parte della Siria di Hafiz
al-Asad, sostegno più o meno dichiarato, più o meno nascosto.
Nel 1998, il Governo Turco, in tutta risposta alle azioni di guerriglia dei Curdi, arrivo’ a schierare i carri armati al confine pur di rescindere il legame fra Siria e PKK. Ottenne come risultato che la Siria espulse Ocalan, il quale dopo una lunga fuga tra Russia, Italia – ci furono allora manifestazioni pro Ocalan e il PKK -, Grecia e Kenya
fu arrestato sulla strada dall’aeroporto di Nairobi all’ambasciata greca del Paese africano, poi estradato e tradotto nelle carceri turche.
Sempre alla memoria vengono, ultimamente, le vicende dei Peshmerga Curdi, in particolare la loro Brigata femminile, e il ruolo avuto nel determinare la svolta decisiva del conflitto contro l’ISIS.
I Peshmerga (in lingua curda, letteralmente: “Fronte della Morte”, combattenti fino alla morte) sono le forze armate della Regione Autonoma del Kurdistan Iracheno, “milizia di difesa curda”.
Ancora in memoria, da ultimo, il ricordo dello straordinario risultato elettorale conseguito dal Partito Curdo – esattamente Partito Democratico dei Popoli (HDP) – nelle elezioni in Turchia dell’8 Giugno 2015, che avendo superato lo sbarramento del 10%, e’ entrato per la prima volta nel Parlamento Turco con 79 seggi.
Successo a cui ha fatto seguito il crollo nelle successive elezioni del Novembre, elezioni che hanno visto la consacrazione ufficiale di Recep Tayyip Erdogan.
Ben poco, quindi, si sa in rapporto alla complessità della geopolitica del Kurdistan e del Popolo Curdo con le molteplici fazioni che lo distinguono.
La Rivista “LIMES”, in diversi articoli, affronta tale complessità cercando di sviscerare, analizzare, semplificare, per portare chiarimenti e dare un contributo alla comprensione, soprattutto sugli avvenimenti più recenti.
A seguire, una sintesi degli articoli suddetti, premettendo che il nostro interesse per il Popolo Curdo e il Kurdistan ha una duplice motivazione:
– Il ruolo strategico che, ieri come oggi, il “Popolo senza Stato” ha giocato e gioca nello scacchiere Medio Orientale e nel Mediterraneo
Ruolo assimilabile a quello del Popolo Palestinese (!)
– Curdi e Kurdistan saranno uno dei temi in discussione nella prossima Edizione degli Incontri del Mediterraneo.
Il Popolo Curdo.
I Curdi sono un popolo la cui etnia e’ di origine indoeuropea.
Sono stanziati in un’area molto vasta che si estende nella parte settentrionale e nord orientale della Mesopotamia, area che include perciò l’alto bacino del fiume Eufrate e quello del fiume Tigri, il lago Van, nella penisola anatolica, il lago Urma, nell’Azerbaijan iraniano, la catena dei Monti Zagros, ai confini tra Iraq e Iran, e la catena dei Monti Tauro, nella Turchia meridionale, provincia di Antalia.
Territori indicati col termine di Kurdistan e che costituiscono le zone di confine – perciò strategiche – di ben quattro stati: Turchia, Iraq, Iran e Siria, e in misura minore, anche in Armenia.
Piccole comunità curde sono presenti anche in Libano, Giordania, Georgia, Azerbaijan, Afghanistan e Pakistan.
Si stima che i Curdi siano tra i 20 e i 30 milioni, quindi costituiscono uno dei più grandi gruppi etnici privi di ‘unità nazionale’ e, soprattutto, senza uno Stato riconosciuto dalla Comunità Internazionale.
I Curdi parlano numerosi dialetti della ‘lingua curda’, che non è una lingua araba, ma appartiene ai linguaggi indoeuropei.
Si stima, inoltre, che i Curdi costituiscano circa il 18% della popolazione turca, tra il 15 e il 20% della popolazione irachena, circa il 6% della popolazione Siriana, il 4% di quella iraniana e l’1,5% di quella armena.
La maggioranza dei Curdi aderisce all’Islam. In gran parte sono Sunniti, ma numerosi sono anche gli Sciiti. Un altro gruppo consistente e’ rappresentato dai Cristiani. Vi sono inoltre minoranze Yazidi, di Ebrei e di altre religioni meno note.
I Curdi furono islamizzati già nel VII secolo e formarono Emirati semi-indipendenti.
La questione territoriale curda, di avere un proprio Stato riconosciuto, risale almeno alla fine dell’Impero Ottomano, con la conclusione della Prima Guerra Mondiale, quando, nell’Agosto del 1920, fu sottoscritto dalle Potenze Occidentali vincitrici (Regno Unito, Francia e Russia) il “Trattato di Sevres” nel quale, per la prima volta nella storia, venne disegnata una ‘carta geografica’ che comprendeva i confini di uno Stato del Kurdistan.
La popolazione curda all’inizio del XX secolo ha subito una politica di discriminazione etnica e di disconoscimento dei diritti più elementari che non ha paragoni in nessun’altra parte del Mondo, soprattutto nel Kurdistan Turco – Mustafa Kemal Ataturk, il “Padre della Turchia Moderna”, esercito’ nei confronti dei Curdi una politica di vessazioni, persecuzioni e sterminio (!) -.
Gli stati che attuarono questa politica anticurda, in primis Turchia e Siria, ma in buon parte anche Iraq e Iran, l’hanno condotta col fine di negare ai Curdi i diritti fondamentali e persino disconoscere l’identità e l’esistenza stessa del Popolo Curdo, ricorrendo ad ogni mezzo, dalla manipolazione dei ‘Media’, all’esercito e alla repressione poliziesca, fino alle istituzioni scolastiche, dove la ‘lingua curda’ non era – e non è ancora ! – riconosciuta.
Il Grande Kurdistan
È stato un sogno infranto e resta un’utopia.
L’inizio della storia: il Kurdistan come strumento del confronto tra Regno Unito e Russia. Questo scenario risale ad un secolo fa, agli inizi della Prima Guerra Mondiale. Allora, come oggi, le comunità curde sono state strumento dei fini delle potenze esterne nel conflitto che le vedeva contrapposte all’Impero Ottomano.
“Una rivolta generale nel Kurdistan al momento attuale potrebbe forse causare la caduta dell’impero ottomano, già vacillante nelle sue fondamenta”.
Così, il diplomatico inglese Henry Trotter da Diyarbakir – Kurdistan Curdo – suggeriva al Foreign Office.
Si doveva trovare un modo per manipolare l’opinione pubblica curda
e convincerla a passare dalla parte del Regno Unito nei combattimenti sul fronte di Diyarbakir. Praticamente si proponeva di fomentare e favorire lo sviluppo di un sentimento nazionalista curdo in chiave antiturca, con la promessa dell’autonomia del Kurdistan.
Lo stesso disegno, Londra porto’ avanti nel Kurdistan iracheno, concedendo forme di autonomia in quelle provincie, ma guardandosi bene dall’includerle nei confini di un ideale Stato Curdo.
La storia è nota: paradossalmente, l’atto che avrebbe dovuto sancire il coronamento del sogno indipendista dei Curdi, cioè il “Trattato di Sevres”, si sarebbe tramutato nel naufragio di tale progetto politico. Le potenze occidentali, Regno Unito in testa, erano già coscienti del fatto che gli articoli riguardanti il riconoscimento da parte di Istambul di un Kurdistan indipendente potevano essere svuotati da una deliberata volontà del futuro governo turco di non applicarli – Le potenze occidentali vedevano già nella nascente Repubblica Turca di Ataturk un futuro potenziale alleato in chiave antiaraba e/o in chiave anti Persia (!) -.
Il Kurdistan poteva essere facilmente barattato con la pace,
con la “pace turca”, esattamente con i “kemalisti” di Ataturk, pace che toglieva ai Curdi qualsiasi diritto politico e culturale.
Il “Trattato di Losanna” del 1923 avrebbe determinato la situazione attuale, con una comunità curda divisa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran.
Il culmine della beffa: dopo aver creato il Kurdistan, le potenze europee lo avevano sconfessato.
Fine di un sogno.
E oggi? Ancora una volta il Grande Kurdistan può attendere.
È innegabile che parte del merito della “liberazione” dai jihadisti del “Califfato Nero” di Abu Bakr al-Bagdadi di ampie aree della Siria settentrionale e dell’Iraq nord-occidentale vada alle milizie curde.
I Peshmerga, la Milizia di difesa curda, con la grande copertura e il sostegno materiale delle potenze occidentali, il favore dell’opinione pubblica mondiale alimentato dall’appoggio mediatico, da ormai due anni sono le pedine fondamentali per fronteggiare e sconfiggere l’ISIS. Grazie alle armi fornite loro dalla “Santa alleanza” hanno strappato al “Califfato Nero” centri strategici importanti come Mosul, Raqqa, Kobane…
Ma quello che ne’ i ‘Media’, ne’ l’opinione pubblica si chiedono e’ quale sia il costo per le potenze occidentali del supporto ai combattenti curdi. Non solo il costo per gli aiuti materiali sul terreno di guerra. Ma soprattutto il costo in termini di concessioni territoriali e riconoscimento della Nazione curda, per ripagare quei combattenti e quel popolo per quanto hanno contribuito alla sconfitta dell’ISIS sui campi di battaglia, e non solo.
La risposta a questa domanda è molto semplice: i Curdi, vogliono, pretendono il Kurdistan, uno Stato libero, indipendente, riconosciuto dalla Comunità Internazionale.
Questo Stato dovrebbe – il condizionale è d’obbligo: la storia passata e recente insegnano (!) – essere costituito dai “Kurdistan regionali”, dai territori occupati dai Curdi ai confini tra Turchia, Iraq, Iran, Siria e Armenia. In una, il “Grande Kurdistan”.
Se è vero che il Nord-Ovest dell’Iraq e’ già di fatto una regione curda, con capoluogo Kirkuk – manca solo la consacrazione formale che si avrà con il ‘Referendum popolare’ indetto dal presidente del Kurdistan iracheno Masud Barzani -, gli Iraniani da una parte, e i Turchi dall’altra, non pensano assolutamente di lasciare porzioni ‘strategiche’ del loro territorio per la costituzione del “Grande Kurdistan”. In particolare i Turchi, con le problematiche che hanno con i “ribelli storici” del PKK, non solo non sono disposti a concedere porzioni del loro territorio, ma non vedono di buon occhio nemmeno la formazione di uno Stato curdo come vicino di casa – leggi Kurdistan iracheno -.
E che dire della Siria di Bashar al-Assad: le milizie curde stanno prendendo la città di Hasakan, nella regione del Nord del Paese, ai confini con la Turchia e l’Iraq.
Chi può convincere il “Rais di Damasco”, che per cinque anni ha difeso strenuamente i suoi privilegi in una guerra che ha provocato milioni di vittime, a concedere il “Rojava” – lo staterello curdo in Siria – al Popolo Curdo? Tanto più che, oggi, Assad oltre all’appoggio della Russia di Putin, gode anche del sostegno del “vicino” Erdogan, fino a ieri acerrimo nemico…ma che ultimamente ha cambiato “umore”(!)
Quale sarà, quindi, la risposta al “conto” che i Curdi presenteranno per le loro “prestazioni” agli alleati regionali e alle potenze occidentali e’ facile da intuire: il sogno del “Grande Kurdistan” e’ di nuovo destinato – oggi come in passato – ad infrangersi contro il “muro di gomma” della indifferenza occidentale, vecchia e nuova.
I movimenti di protesta iniziati nel 2011 nel mondo arabo mediterraneo, noti come “Primavere Arabe”, hanno portato un cambiamento profondo negli equilibri geopolitici del Medio Oriente.
Cinque gli effetti più eclatanti:
– Rimessa in discussione delle antiche frontiere stabilite dalle
Potenze coloniali dopo la Prima Guerra Mondiale;
– Indebolimento della capacità dei governi centrali di mantenere la
sovranità sul proprio territorio e di legittimarsi agli occhi delle proprie popolazioni;
– Nascita dello Stato Islamico (ISIS) e del “Califfato Nero” di Abu
Bakr al-Bagdadi;
– Guerra allo Stato Islamico dichiarata dall’Iraq e dalla Siria (estate 2014) col sostegno della “Santa Alleanza” – la storia si ripete (!) – tra le Potenze europee, la Russia di Putin e gli Stati Uniti;
– Opportunità per i Curdi, come forza combattente determinante per la sconfitta dei jihadisti islamisti, di realizzare le loro aspirazioni di autogoverno e darsi uno Stato riconosciuto dalla Comunità Internazionale (?!?).
Ma questa opportunità e’ destinata a fallire non solo per l’atteggiamento ostile delle Potenze regionali (Turchia, Iraq, Iran, Siria) e il “muro di gomma” dell’indifferenza dell’Occidente – dietro il quale stanno in realtà giochi di potere e “nuovi” equilibri sempre sottaciuti (!) -, ma anche per l’eterna faziosità ‘partitica’ del “Popolo senza Stato” che stenta a portare avanti un progetto unitario, a farsi “Nazione”, rimanendo pedina altrui, ostaggio degli “alleati” regionali.
Le strutture di partito – noi, italiani, sappiamo benissimo quanto i partiti dividono anziché unire un popolo (!) – costituitesi nel corso di decenni di resistenza armata contro i governi centrali regionali trovano difficoltà, per divisioni interne di carattere ideologico, religioso e di potere, ad assumere nuove funzioni e a generare o a trasformarsi in strutture di autogoverno capaci di sostituire quegli stessi governi nelle loro fondamentali funzioni amministrative.
Si assiste a un divario quasi schizofrenico tra le dichiarazioni dei leader curdi e la loro effettiva capacità di governare il territorio e la popolazione, gestire i rapporti con le Potenze regionali e non, trovare un’intesa che consenta la realizzazione delle loro aspirazioni… Farsi “Nazione”, per legittimare la loro richiesta ad avere uno Stato… a pretendere il riconoscimento del “Grande Kurdistan”.
I partiti curdi, come tutti i movimenti di liberazione nazionali, una volta conquistato militarmente il territorio si trovano a fare i conti con il problema di governarlo. L’esperienza di Al-Fatah e Hamas in Palestina presenta alcuni tratti simili a quella curda nel tortuoso percorso che vede partiti politici sviluppare alcune funzioni statali: gestire la sicurezza, amministrare un territorio, darsi organi di rappresentanza politica, e tutto questo, prima di dichiararsi Stato a tutti gli effetti.
L’esperienza fallimentare del PKK di Ocalan nel Kurdistan Turco e’ esemplare in merito.
Anche il Kurdistan iracheno ha mosso i primi passi verso l’autonomia appoggiandosi alle strutture dei partiti curdo-iracheni.
In assenza di istituzioni statali, le strutture interne ai due partiti più forti: il Partito Democratico del Kurdistan (Kdp) e l’Unione Patriottica del Kurdistan (Puk), le loro forze di sicurezza, le loro segreterie di partito e i loro uffici locali hanno cercato di assumere funzioni di prime istituzioni amministrative, nei rispettivi capoluoghi di Arbil – il Kpd – e di Sulaymaniya – il Puk -, tuttavia, invece di procedere verso un percorso unitario, l’amministrazione delle aree di influenza di ciascun partito e’ rimasta di fatto separata.
La competizione intrapartitica e’ persino sfociata, in più riprese, in una lotta fratricida… È verosimile che i partiti curdi entrino in conflitto armato tra loro solo sporadicamente, ma che facciano costante ricorso alle loro alleanze – quelli di ispirazione sciita alleati con l’Iran e/o Siria, quelli di ispirazione sunnita alleati con la Turchia (!) – con le potenze esterne per sconfiggere, militarmente o politicamente, i propri rivali e’ un dato di fatto.
L’esperienza del Kurdistan iracheno, millantata come quella più vicina a realizzare il sogno di un Kurdistan indipendente, mostra che partiti politici e apparato amministrativo sono ancora strettamente legati. La separazione tra partito e Stato e’ un passaggio fondamentale nella costruzione di uno Stato curdo.
In questo clima di divisioni interpartitiche, e all’interno degli stessi partiti, nonché di immaturità istituzionale, e’ stato annunciato il “Referendum popolare” per l’indipendenza del Kurdistan.
Il voto potrebbe acuire, anziché risolvere, molti di questi problemi.
Un esito favorevole potrebbe esasperare i contrasti e diminuire l’efficacia delle istituzioni.
Analoghi problemi affliggono i Curdi iraniani.
La competizione intra-curda impedì al Partito Democratico del Kurdistan-Iran (Kdpi), di ispirazione sciita, di divenire il partito di riferimento di tutti i curdi d’Iran – I Curdi sunniti e gli Azeri sono tradizionalmente ribelli al regime teocratico degli Ayatollah Sciiti -.
Oltre alla brutalità del regime nel reprimere l’opposizione curda, tra i problemi dei partiti curdi iraniani secolari e di sinistra vi erano le molte divisioni ideologiche e sempre più spesso personali dei vari leader, divisioni che proiettavano all’esterno un’immagine di frammentazione e totale incapacità organizzativa e amministrativa.
L’autonomia dello staterello curdo in Siria, il “Rojava” e’ geopoliticamente fragile. La natura stessa del dominio del Partito dell’Unione Democratica (Pyd) ne svuota la legittimazione.
Nell’estate 2012, sedici mesi dopo lo scoppio delle rivolte in Siria, il governo di Bashar al-Assad, sotto scacco ad Aleppo, ritiro’ l’esercito dalle aree a maggioranza curda del Nord e del Nord-Est del Paese. La popolazione locale fiuto’ l’opportunità e il Pyd riempi’ velocemente il vuoto.
Sostenuto dalla sua alla militare, le Unità di protezione popolare, il Pyd assunse il controllo di tre enclave vitali, abitate da curdi, nell’area di Kobane.
Alla fine del 2013, il Partito costituì ufficialmente l’amministrazione autonoma curda del Rojava, o Kurdistan occidentale.
Nella sua rapida ascesa al potere, il Pyd ha beneficiato dell’aiuto, in termini di addestramento, manovalanza e armi, della “casa madre”, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il ben noto PKK, con basi logistiche in Turchia e Iraq. Il Pyd ha assunto di fatto l’autorità di governo del Rojava, in danno agli altri partiti curdi siriani, e si è affermato come forza politico militare dominante in tutto il Nord e Nord-Est della Siria.
Per quanto autoctona, l’amministrazione del Rojava ha un problema di legittimazione. Lungi dall’essere un progetto inclusivo con ampia partecipazione politica, l’entità autonoma e’ stata istituita dall’alto come esperimento governativo del Pyd, il quale non è stato in grado di riscuotere che scarsi consensi popolari, al di fuori dei suoi fedelissimi.
Concludendo, i Curdi hanno una lunga storia di dipendenza dalle potenze regionali e internazionali e le sollevazioni sostenute da attori a loro esterni si sono spesso concluse tragicamente, se non sul piano militare, su quello politico.
Regno Unito, Russia e Francia, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, si ‘inventarono’ il Kurdistan in funzione antiottomani. Con il “Trattato di Sevres” sancirono il diritto dei Curdi ad uno Stato indipendente, che poi boicottarono nei fatti.
Cent’anni dopo, la “Santa Alleanza” tra le potenze europee, la Russia di Putin e gli USA – ieri di Obama, oggi di Trump (!) – procede sulla stessa linea: usare, strumentalizzare i Curdi, con false promesse di riconoscimento della loro identità di Nazione e di concessione di uno Stato indipendente, per poi, nei fatti, disimpegnarsi del tutto dalla questione curda, per perseguire altri interessi divenuti nel frattempo prioritari.
Il “Grande Kurdistan” resta un’utopia.